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Anno edizione: 2024
Anno edizione: 2024
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Libro vincitore del Premio Elsa Morante 2024 - NarrativaLibro finalista del Premio Viareggio Rèpaci 2024 - Narrativa
Con l’amore che solo i grandi autori sanno dedicare ai propri personaggi, Silvia Avallone ha scritto il suo romanzo più maturo, una storia di condanna e di salvezza che indaga le crepe più buie e profonde dell’anima per riempirle di compassione, di vita e di luce.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
A Sassaia, piccolo borgo montano, due persone, Emilia e Bruno, accomunate da profonda solitudine si incontrano e si innamorano. Ciascuno di loro è reduce da una storia tragica, Bruno quando era ragazzino ha perso i genitori in un mortale incidente su una funivia, episodio che ci riporta a quello reale avvenuto al Mottarone e non riesce a non sentirsi colpevole per essere ancora vivo in quanto per un caso fortuito lui e la sorella sono scesi in ultimo dalla funivia. Per Emilia la storia è completamente diversa, il dolore non lo ha subìto, si rifugia a Sassaia dopo aver scontato la pena di 15 anni in un carcere minorile, nessuno in paese conosce la sua storia tranne Basilio che capisce subito chi è e la coinvolge nel restauro di una chiesa. Altri personaggi che animano il romanzo sono Riccardo, il padre di Emilia, che non l’ha mai abbandonata ed ha sempre pensato ad un suo futuro reinserimento nella società. Marta, conosciuta in carcere e che nello stesso è riuscita a laurearsi ed a rifarsi successivamente una vita a Milano. L’autrice affronta il tema spinoso del carcere ed il suo ruolo di rieducazione affinché il detenuto una volta uscito non commetta reati simili.
libro potente, commovente, ricco di fragile umanità. I due protagonisti sono due anime “ammaccate” che hanno smesso di vivere: una è vittima del “destino” l’altra è una carnefice, ed entrambe si rifugiano nello stesso luogo angusto per fuggire dal passato. “tutto questo per spiegarti che, indipendentemente dalle botte che hai preso, dalle cose brutte che hai visto e sentito, dei problemi che ti stanno scavando dentro un buco, -e io lo conosco alla perfezione, credimi quel buco,- la verità è che né tu, né io, né nessuno è mai veramente fottuto finché è vivo”
Questo è un romanzo duro e forte, letteralmente di acciaio, che non è un metallo ma una lega minerale; acciaio come quello che a suo tempo donò buona notorietà all’autrice, in verità alquanto ben meritata. Raccontano di sé ragazze, giovanissime, adolescenti, o appena maggiorenni, che per i casi della vita si portano dentro l’inferno. L’inferno ha tante facce, è un fuoco perenne, quindi ha tinte diverse e calore differente, può solo scottarti o carbonizzarti del tutto, dipende da dove sei situato, le lingue di fuoco hanno le sembianze fluttuanti di abusi, di pedofilia, di incesti, di sfruttamento di ogni tipo, di lutti materni mai metabolizzati, di bullismo, di indifferenza familiare e sociale. Tutte cose che avvenute ad una certa età pesano, è sempre l’adolescenza che decide chi sei. Senza adatti strumenti ed artigiani che ti insegnano ad usarli, non puoi lavorare la pietra, meno che mai l’acciaio, in sintesi allora il male che subisci ti appare sempre molto più grave di quello che fai. Servono mirabili ingegneri, usi a forgiare l’acciaio in strumenti, trarne anziché lame per ferire, utensili degni di insigni artisti. I veri protagonisti di questo romanzo restano sempre sullo sfondo, senza mai apparire, sono gli umili fabbri, maestri costruttori che rispondono ai nomi della dottoressa Gilda Pavulli in arte Frau Direktorin, delle educatrici Sara, Rita, Vilma, la Pandolfi, perché l’unica vera risposta è l’amore. L’amore è la cura, il solo che lascia traccia, che innalza vertiginosamente la temperatura di un pezzo freddo di acciaio, portandolo al punto di fusione, rendendolo incandescente, forgiandolo a forma di cuore, rosso come l’amore e non nero, così come è giusto che sia.
Recensioni
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